Il violoncello di ghiaccio di Sollima dal loggione del Politeama Garibaldi

Sollima

Il 10 febbraio, alle ore 17,30 il Politeama Garibaldi ha accolto l’esibizione del maestro Giovanni Sollima con il suo particolarissimo violoncello di ghiaccio. Il clima era quello dei grandi eventi, nel bene e nel male: già il sabato mattina un cartello ostentava orgogliosamente il tutto esaurito, proprio come è avvenuto la sera prima per lo spettacolo del venerdì. In sala tanti curiosi, ansiosi più di rubare una testimonianza della loro presenza con il cellulare che di ascoltare. Peccato, per un concerto meritevole anche al di là del particolare violoncello, che tra la prima sinfonia e l’ultima riposava quieto nella sua bolla termica a -5°, mentre l’Orchestra Sinfonica Siciliana accompagnava il maestro armato del “classico” violoncello del 1679 nell’esecuzione del Concerto n. 2 in Re maggiore per violoncello e orchestra di Franz Joseph Haydn prima e nel Cello Konzert di Friedrich Gulda.

Io amo andare a Palermo. Vado tutte le volte che ne ho la possibilità per tutte le ragioni del mondo: di studio, lavoro, di svago o per assistere a qualche attività culturale. Nell’ultimo caso, a volte capita che organizzo il soggiorno a Palermo in funzione della data di un preciso evento, ma solitamente parto – approfittando spesso dell’ospitalità incondizionata di un’amica che mette sempre a disposizione la sua bella casa al centro fornita di due bellissimi gatti – e il giorno stesso in cui arrivo assolvo a quello che ormai è diventato un rito che precede l’andare a mangiare il classico e sempre buono pane e panelle: la prima tappa è la biglietteria del Teatro Politeama. Sono andata spesso anche al Biondo per la prosa e una volta ho avuto la fortuna di riuscire ad entrare al Massimo per l’Opera, ma nei miei pensieri le escursioni a Palermo sono immancabilmente legate al nome del Politeama. Del resto l’uomo è un’animale abitudinario, come ci ha suggerito il buon vecchio Aristotele, ma oltre l’abitudine, da assoluta profana in fatto di musica, posso testimoniare di aver sempre trovato un’ottima offerta di concerti di musica classica.

Mi piace il Politeama come teatro. Il suo stile liberty un po’ decadente, con i muri un po’ scrostati in qualche corridoio più defilato e, soprattutto, la sua bella galleria, con le ringhiere in ferro battuto, le scale a strapiombo sulla platea in fondo e i quattro semicerchi di file, dove anziani distinti e vecchiette elegantissime nella loro semplice femminilità, non appassita ma ingentilita dagli anni, si arrampicano intrepidi per andarsi a sedere accanto agli studenti del conservatorio, o a qualche Erasmus o persino a qualche giovane coppia con un bambino piccolissimo seduto nel mezzo. Tutti appollaiati su quei bei sedili di legno lucido, aggrappati al ferro battuto, a guardare in faccia il busto di Garibaldi di fronte, poco sopra, vicino al soffitto, e in basso i palchetti vezzosi e la rossa platea pomposa, anche se decisamente meno snob di quella del Massimo: qui si vedono meno pellicce a funestare di morte e ignoranza un evento altrimenti nobile. Quel loggione per me ha un’aria antica e familiare, inoltre, l’acustica è semplicemente meravigliosa: si sente e si vede tutto anche dall’ultimo anello, il quarto, e quasi mi è venuto da ridere anche quel giorno vedendo il volto un po’ dispiaciuto dell’impiegata alla biglietteria quando mi ha detto: «Guardi, sono rimasti solo alcuni posti nella quarta fila del loggione». Io prendo sempre la quarta fila del loggione, non è un ripiego ma, anche questa, una bella consuetudine. Stavolta, però, la misura del grande evento a cui si sta per partecipare si avverte nei pochi posti rimasti, solo quelli un po’ più laterali, ma poco importa.

Nel mezzo del concerto, dicevamo, è il momento della voce del ghiaccio. Il maestro si arma di giaccone, guanti e cappello e poi entra nella bolla. Le musiche sono di Sollima stesso, cito dal libretto del concerto: «Il tema dell’acqua e la sua importanza come risorsa a livello planetario per l’ambiente e per l’umanità costituiscono la fonte di ispirazione di N-Ice Cello (…) Al centro del progetto vi è un violoncello di ghiaccio costruito appositamente, nel mese di gennaio del 2018, dal liutaio scultore Tim Linhart (…) tale progetto prevede una serie di concerti dalle Alpi al Mediterraneo, e quindi da Nord a Sud per finire nell’acqua disegnando simbolicamente un itinerario che molti popoli, invece, percorrono in senso contrario dai paesi del Sud del mondo, caratterizzati dalla mancanza dell’acqua, verso territori in cui questo bene è abbondante e forse anche sprecato».

Palermo costituisce una tappa di un tour che è partito a fine gennaio e si concluderà nell’acqua, dal momento che il violoncello, trasportato in una cella frigorifera mobile – ospitata in quei giorni nel frigo di una nota pasticceria palermitana – sarà gettato in mare. Sul viaggio del violoncello dai ghiacci al mare sarà realizzato un docufilm dal musicista Corrado Bungaro. Al di là della particolarità dello strumento e, di conseguenza, anche del suono, il pregio del progetto è anche quello di mettere in rilievo problematiche sociali di grande attualità: «L’arte e la musica – si legge nel libretto – diventano l’occasione per interessanti spunti di riflessione sui cambiamenti climatici, sul rapporto tra l’uomo e l’ambiente e sulla crisi idrica spesso causa anche di conflitti e di migrazioni di interi popoli».

Surreale il finale, con la generosità del compositore verso la sua città natale che lo porta a regalare ben tre appassionanti bis e la contemporanea fuga della platea: senza un motivo, alla fine dell’ultima sinfonia, dopo la prima uscita di scena di Sollima, mentre ancora dagli altri settori del teatro scrosciano gli applausi, la platea imbellettata, dopo aver sfilato sullo sfondo delle telecamere che per tutto il tempo hanno ripreso il concerto, come rispondendo ad un allarme d’evacuazione improvviso, indossa i costosi cappotti e si lancia in fuga verso le uscite, con le luci ancora spente e il maestro che imbraccia il violoncello per il primo bis. Da qui al terzo bis la platea è completamente vuota, solo qualche solitario ancora seduto, tanta gente miseramente bloccata in piedi nei pressi dell’uscita. Solo i palchi e il loggione reggono, grati e contenti, e compensano un po’ la fretta inspiegabile della gente di sotto.

Non posso aggiungere nulla sulla qualità specifica dei brani eseguiti, sulle differenze delle esecuzioni. Non sono un’esperta di musica, non l’ho studiata – a parte qualche timido approccio con la chitarra da ragazzina – posso solo dire che mi piace, in quel modo immediato e ingenuo, forse, che hanno i cani quando corrono al sole. Ma fuori da ogni ironia, i miei cani mi hanno insegnato che godere in modo così spontaneo delle cose è l’unica strada per la felicità.

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  • Nata a Messina, ma con contaminazioni calabresi da parte di padre e Arbreshe da parte di nonna; ama vivere sospesa tra le due sponde dello Stretto, mescolando l’intima e continua confidenza con il mare, con le memorie d’infanzia legate alle campagne tra Crotone e Catanzaro. Si occupa di antropologia filosofica e fenomenologia tedesca, con un focus ossessivo sul corpo e l’intreccio tra biologico, esistenza e pensiero che esprime. Si allena ad osservare il mondo tramite il giornalismo, la pittura ed escursioni in vari continenti.

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