Tomie, manga horror di Itō Junji, è stato originariamente pubblicato in Giappone sulla rivista shōjo (cioè rivolta prevalentemente a un pubblico di ragazze) Monthly Halloween, a partire dal febbraio 1987. Oltre a fruttargli il premio “Kazuo Umezu”, dedicato al grande mangaka horror nipponico fonte d’ispirazione per lo stesso Itō, Tomie ha accompagnato l’autore per lungo tempo, fino al novembre 2000. L’opera è stata raccolta in patria in due tankōbon (volumetti compilativi) nel 1997, seguiti da un terzo, Tomie Again, nel 2001. Da noi, dopo l’edizione Hazard del 2006, arriva il volume unico della J-POP, da qualche settimana sugli scaffali delle fumetterie.
La vicenda è presto raccontata: Tomie è una studentessa delle superiori, che, all’inizio della storia, viene brutalmente uccisa e fatta a pezzi dai propri compagni di scuola in combutta con un docente, il professor Takagi. La giovane e bellissima Tomie fa infatti perdere la testa pressoché a tutti gli uomini che la incrociano, i quali sentono poi un impulso irrefrenabile ad ucciderla e smembrarne il cadavere. Tuttavia, le parti mozzate tendono a rigenerarsi e a risorgere, dando vita a molteplici Tomie, che tornano in scena per vendicarsi degli assassini.
Nel compiere la propria vendetta, Tomie non si fa scrupolo di sedurre, usare e umiliare chiunque ostacoli i suoi desideri, che siano brame sessuali, furie omicide o l’arrogante affermazione della sua spietata bellezza.
L’immaginario orrorifico di Itō attinge alla produzione degli anni Settanta-Ottanta di mangaka come il già citato Umezu Kazuo (di cui segnalo Hyōryū Kyōshitsu, pubblicato di recente da Hikari Edizioni come Aula alla deriva) e Hino Hideshi (Jigokuhen, in Italia noto come Visione d’inferno, uscito lustri addietro per Telemaco Comics).
D’altro canto, la femme fatale con declinazioni spaventose è un archetipo antico nella tradizione artistico-letteraria o nel folklore nipponici. Si pensi alla gelosia distruttiva di Rokujō no miyasudokoro, il cui spirito vendicativo tinge di paura e morte le pagine del Genji Monogatari, capolavoro di Murasaki Shikibu dell’XI secolo. O alle varie yuki-onna («donna delle nevi»), kuchisake-onna («donna dalla bocca spaccata») e nure-onna («donna bagnata») della mitologia giapponese.
Ma, senza andare troppo a ritroso, e senza scivolare nell’ovvietà del richiamo alla Sadako di The Ring (per inciso sul soggetto di Tomie sono stati prodotti svariati film live-action), ritroviamo echi della poetica del terrore localizzato sul corpo femminile in Dissection Girl, storia breve contenuta in Ma no Kakera (2013), sempre di Itō, in cui è la protagonista a chiedere di essere non smembrata, ma dissezionata.
È proprio su questo punto, del corpo in frammenti, o, meglio, dell’oggetto parziale, che vorrei richiamare l’attenzione del lettore. Tomie suscita negli uomini che seduce il bisogno di farla a pezzi. Si tratta semplicemente di follia omicida, di invidia per la bellezza “eccessiva” della donna, o di qualcos’altro? Non è forse questo ridurre a pezzi una metafora della riduzione del corpo femminile a feticcio? La sessualità maschile, direbbe Lacan, il modo di godere del maschio, passa sempre attraverso un oggetto parziale. In questo senso, i partner di Tomie non sarebbero capaci di goderne e amarla nella sua interezza, ma la ridurrebbero appunto a un frammento, a una parte.
Le parti, le disiecta membra di Tomie, però, si ribellano e cercano di rifarsi intero. Tomie è una e molteplice, perché dai singoli pezzi nascono altrettante copie di una donna originale/originaria che, forse, non è neanche quella della prima storia. Tomie è in ogni Tomie, è l’incubo di ogni uomo, la donna i cui arti affondano come radici e i cui capelli si protendono come rami dentro la carne dell’uomo, divorandolo dall’esterno e dall’interno. Tomie ritorna da fuori o da dentro, è il ritorno del rimosso di anime perdute, degli “uomini che odiano le donne”.
Tomie come la pulsione, dunque. E come la pulsione si ripete, è indistruttibile, per cui a nulla valgono gli sforzi fatti per ucciderla. Pulsione sessuale, certo, ma, più di tutto, pulsione di morte. Un odio cieco anima la ragazza col “neo sulla via delle lacrime”: odio per gli assassini e per il maschile in generale, ma anche odio come invidia dell’altro. Tomie non tollera che qualcuno sia o si percepisca come più bello di lei o più degno di attenzione. Conduce l’altro nel fango solo per il gusto di deriderlo sadicamente. L’invidia si dirige anche verso i propri alter ego: Tomie è profondamente narcisista, e non accetta che esistano delle copie di sé. A ben vedere, l’indistruttibilità di Tomie porta come contrappasso la sua replicabilità, il suo sdoppiarsi in una schiera di diabolici Doppelgänger. La donna-mostro può sopravvivere a patto di proliferare: le parti possono tornare all’intero, ma solo per moltiplicarsi, disseminarsi tra le pagine, in tavole affollate di volti dal ghigno macabro.
L’estetica di Tomie, come quella di Stranger Things, ci riporta per molti versi agli anni Ottanta, ma a degli eighties nipponici ancora più spettrali di quelli americani.
Consigliatissimo agli amanti del genere e del manga d’antan.
Voto: 8
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