Super Dark Times, film del 2017 di Kevin Phillips, racconta i tempi molto bui di una generazione con una facile propensione alla morte.
Proprio quando l’amore tra Allison e Zach sta per fiorire, quest’ultimo è testimone oculare dell’omicidio, seppur colposo, di cui si macchia Josh: l’uccisione dell’esuberante coetaneo Daryl. I due amici preferiscono nascondere l’accaduto recitando la parte di fronte alla comunità che li circonda, ma presto le maschere cadono e la violenza, invece di placarsi, aumenta. Un film dai toni crepuscolari dove gli elementi ambientali, i chiaroscuri fotografici alternanti e il découpage si fondono ad hoc agli incubi post mortem da parte di Zach. Per quest’ultimo, incapace di amare, comincia una fase masturbatorio-onirica nei confronti di Allison, mentre per Josh accade l’opposto, sprofondandolo nell’isolamento. Da qui cova una gelosia strisciante e distorta nei confronti della stessa ragazza.
Il regista Phillips sembra voglia indagare sullo spaccato interiore ed emotivo dei protagonisti, sulla difficile conservazione di un’amicizia, mostrandosi distaccato col mezzo espressivo rispetto alla parte correttivo-pedagogica (da notare alcune inquadrature sfocate sulle volanti della polizia in assenza di suoni), quasi se il contingente facesse parte del destino di ognuno di loro, senza possibilità di risoluzione e spiegazione. Di gran risalto, in una delle ultime inquadrature del film, il volto freddo ed esangue dell’assassino che scompare dietro i vetri della vettura della polizia. Una pellicola che, come Polytechnique (2009) di Denis Villeneuve, mette in risalto, seppur seguendo un’estetica filmica differente, la fascinazione giovanile nei confronti della morte.
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