Sotto il segno della levità: intorno ad “Inviata speciale” di Jean Echenoz

Echenoz

Da poco tradotto in Italia per i tipi di Adelphi, il nuovo romanzo di Jean Echenoz, Inviata Speciale, si mostra all’altezza delle aspettative dei lettori: lo stile narrativo echenoziano permane deliziosamente immutato, nonostante probabilmente non riesca ad eguagliare i livelli raggiunti in Correre.

Inviata speciale si colloca a metà fra noir storia di spionaggio, sebbene l’autore orchestri un inconfondibile gioco del tutto autonomo dai generi letterari e più prossimo alla narrazione pura, alternando sapientemente uno stile descrittivo da figurazione fiamminga, in grado di non tralasciare, esaltandolo, persino il più insignificante dei particolari (si veda l’ossessione di Hubert per granelli di polvere, le pieghe sugli abiti e i rossori sul viso del fratellastro Lou Task), agli sfumatissimi riferimenti spazio-temporali (si veda il mancato esperire un realistico faccia a faccia, nella lettura, con gli angoli cittadini parigini o con l’eterogeneo sovrapporsi dei quartieri di Pyongyang).

Eppure la Storia è presente: vibrano capolini continui tra un capitolo e un altro, fantasmatica raggiunge e spiazza il fruitore con le sue incursioni, talora imprevedibili e per ciò stesso sferzanti, come ad esempio la sosta/fuga nell’area demilitarizzata (!) fra le due Coree, regno della biodiversità, laddove, in misteriosa combutta con le mine disseminate e plasticamente arginate, flora e fauna esplodono gaie, come la penna di Echenoz, emancipandosi dall’onnipresenza umana.

L’intreccio è fitto, attraversa e raccoglie una corale di stati interiori sapientemente tratteggiati, come anche l’intera sfilza di personaggi stralunati (immersi in flussi di inedia, eleganti sindromi di Stoccolma, meschinità caratteriali e gigantesche conseguenze), capeggiati dall’aggraziata superficialità e dall’insoddisfazione vitale di Constance.

La bellissima protagonista della spy story, descritta per filo e per segno dall’autore e di cui il lettore non riesce a costruirsi un volto oltre i vapori di una noia malinconica e rassegnata, diventa anche l’incarnazione di un moto di preziosa ed imprevista rivolta, che va ben al di là della trama: Constance è improvvisamente rapita dalla lettura integrale dei volumi della corposa enciclopedia Quillet. Tomo per tomo, voce per voce, è possibile osservare un gesto di rottura illuminata in mezzo ad uno scorrere apparentemente sconclusionato di eventi.

Quello che incanta di Echenoz è il fatto che si muove sotto il segno della levità: gli eventi si consumano per davvero, sulla scorta di teste saltate all’interno del regime coreano (anticipate dall’invito a tagliarsi i capelli) e efferati delitti a Parigi, eppure, a parte la godibilissima sensazione di trovarsi dinanzi alla sparatoria di Eri piccola di Fred Buscaglione e non di fronte alla tetra tristezza di una contemporanea storia di spionaggio, e dunque a parte la possibilità di non distogliere inorriditi lo sguardo da ciò che pure accade, l’idea è quella che Echenoz compia in qualche modo un gesto di resistenza.

Non si tratta di una semplice resistenza all’iper-realismo che deteriora farsescamente quanto di più destabilizzante ci scorre intorno nei termini di immagini e cronaca. La levità di Echenoz, prima manifestatasi nei romanzi sulla vita di Zátopek, Ravel e Tesla (quantunque in Inviata Speciale alla sacralità del personaggio si sostituiscano figure meno epiche, più vicine semmai a quelle di ’14) ha a che fare con la compenetrazione fra forme apollinee e flussi dionisiaci. È l’antica lezione de La nascita della tragedia: il mondo trova giustificazione esclusivamente come fenomeno estetico[1], forse è proprio per questa ragione che leggere Echenoz, oggi più che mai, è davvero un’esperienza estetica.

[1]Cfr. F. Nietzsche, La Nascita della tragedia, trad. di S. Giametta, Adelphi, Milano, p. 45.

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  • Edvige Galbo, nata a Palermo, PHD in Metodologie della Filosofia e docente di Storia e Filosofia, divora libri che restringono sempre di più lo spazio in cui vive ma allo stesso tempo anche un pericoloso disincanto. Le sue ricerche si muovono principalmente nel campo dell’estetica. Avrebbe milioni di ragioni per smettere di farlo, ma le piace continuare a credere che “alla libertà si arriva solo attraverso la bellezza”.

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