Potere al popolo: la sinistra dei molti o delle moltitudini?

Spinoza

La lista Potere al popolo è nata da un gruppo di attivisti del centro sociale Je so’ pazzo di Napoli e si va organizzando in queste settimane, in tutto il Paese, con assemblee territoriali convocate da Sud a Nord.

Qual è la galassia socio-politica di riferimento di questo nuovo movimento? Naturalmente il mondo dei centri sociali, degli spazi occupati, dei movimenti ambientalisti e di lotta alle grandi opere (No TaV, No Tap, No Muos), ma anche, nel solco storico della sinistra, il sindacalismo di base (Cobas e Usb), gli sfruttati delle campagne e gli operatori dei call center, i precari dell’istruzione e della ricerca, gli operai e i disoccupati, le donne e gli studenti.

Potere al popolo cerca di occupare il “seggio vacante” della sinistra antagonista che già fu di Rifondazione comunista in Italia, e che è di movimenti come La France insoumise oltralpe o di Podemos in Spagna. Il neonato movimento si oppone radicalmente alle politiche del Jobs Act e della Buona Scuola, alla precarizzazione del mercato del lavoro e alla volatilizzazione delle condizioni di esistenza tout court, ai tagli dei fondi nel comparto istruzione e agli attacchi alla libertà d’insegnamento. Secondo lo slogan lanciato sul portale di Potere al popolo, «dov’era il no», il “travaglio del negativo” di fronte alle politiche postfordiste e neoliberiste, si tratta di «fare il sì», di superare la logica dialettica per approdare all’affermazione immanente di un nuovo modello di società.

Per la sinistra italiana le elezioni di marzo potrebbero rivelarsi fatali. Il crollo di consensi dell’erede storico del PCI-PDS-DS, che nel frattempo ha portato a compimento l’evoluzione verso posizioni più affini alla tradizione liberale che al patrimonio ideologico della gauche, è stato accompagnato da una scissione a sinistra che ha coagulato attorno a un nuovo soggetto politico, Liberi e Uguali, i fuoriusciti dal PD di Articolo 1-MDP, i civatiani di Possibile e finanche Sinistra Italiana (nuova incarnazione di SEL). L’ambiguità di intenti di LeU, coalizione ovviamente più riformista che rivoluzionaria, si annida non solo nella presenza tra le sue schiere di ex simpatizzanti blairiani come l’intramontabile Massimo D’Alema, ma anche nel legittimo sospetto che la critica alle posizioni del PD si risolva in un accordo post-elettorale con gli stessi Dem, a patto che la leadership di Renzi venga depotenziata dalle urne.

C’è dunque spazio a sinistra. Tanto di quello spazio che, nel gioco della politica comparata, sembra difficile per Liberi e Uguali proporsi in terra italica come il corrispettivo del Labour a trazione corbyniana. Decisamente più “rossa” appare la figura di Jeremy Corbyn, nonostante la ripresa dello slogan laburista «For the many, not the few», che Pietro Grasso, leader di LeU, ha ritwittato quasi pedissequamente («Lotteremo per i molti, non per i pochi»), senza riuscire a evitare che gli utenti del social contestassero la traduzione nel merito e nel metodo. Lost in translation? Non mi accanirei troppo sul vizio di originalità, anche perché la primogenitura del poetico motto è antica e illustre, retrodatabile al poeta romantico inglese Shelley se non allo storico greco Tucidide.

Una stessa, oziosa ma non troppo, critica nominalistica potrebbe essere rivolta alla scelta di inserire il termine “popolo” nel nome del movimento con sede nell’ex Ospedale politico giudiziario (Opg) di Napoli, convertito in una moderna casa del popolo. Popolo, appunto. Si può essere d’accordo con la portavoce della lista, Viola Carofalo, che il termine faccia sentire inclusi, senza dubbio più del datato “proletariato”. Ma, soprattutto, si può essere certi del fatto che “popolo” abbia vinto, nella storia della terminologia politica, sulla parola “moltitudini”. È stata la vittoria di una tradizione filosofico-politica, quella hobbesiana, di contro all’approccio eretico spinoziano. Hobbes contro Spinoza, popolo contro moltitudini.

Eppure, la spinoziana multitudo potrebbe fare al caso degli attivisti della sinistra radicale più e meglio di qualsiasi riferimento al popolo. Il popolo, hobbesianamente, è una riduzione all’Uno, l’imposizione di un ordine sul caos molecolare delle moltitudini, vituperate dal filosofo del Leviatano. La moltitudine, come insegna Paolo Virno (autore di Grammatica della moltitudine. Per una analisi delle forme di vita contemporanee), non è la massa: è autonoma e tutt’altro che passiva o condizionabile. Ancora, la multitudo permette di andare oltre il principio di democrazia rappresentativa, perché si pone al di fuori della logica della rappresentazione, situandosi nell’immanenza pura, nella presenza e nell’azione dirette. Le moltitudini sono l’apertura verso il pubblico non statale, incarnano la battaglia per i beni comuni.

Come detto da Michael Hardt in un’intervista a il manifesto di qualche tempo fa, la moltitudine è un modo per ripensare il popolo, il partito e la classe in termini che oltrepassano la logica dell’Uno.

In questo senso, per Hardt (autore, con Toni Negri, di Impero, Moltitudine e Comune), il molteplice deleuziano è un costrutto di formidabile utilità per pensare alle molteplicità politiche. Non posso non sottolineare come questo rientri perfettamente nella cornice spinoziana cui si faceva riferimento. Senza dimenticare il portato anarchico del concetto di moltitudine: con il Deleuze di Logica del senso, e con Walt Whitman, è lecito affermare che ciascuno contiene più mondi. «I contradict myself, I am large, I contain multitudes».

Quale spazio allora per la sinistra radicale di Potere al popolo (o alla moltitudine)? Partendo dalla constatazione che non esiste un “fuori” del capitalismo e dalla consapevolezza che l’affermazione del “sì deleuziano” è frutto di un ottimismo disperato, la sinistra fa ancora in tempo? Le speranze non sono forse morte con la dispersione del movimento no-global (e non solo di esso) a Genova? Gli orizzonti non si sono forse chiusi nel giro di un’estate, dai fatti del G8 in luglio all’11 settembre 2001?

L’ottimismo disperato, secondo Slavoj Žižek, deve tradursi nel coraggio della disperazione: pensare la rivoluzione come impossibile è l’unica via di metterla in atto, la disperazione è l’autentico sentimento rivoluzionario. Hic Rhodus, hic salta. È davanti al Kraken neoliberista che bisogna mostrare il proprio coraggio, riconoscendo che il mostro va combattuto fuori e dentro. La paura è naturale, ma non bisogna dimenticarlo: conteniamo moltitudini, qualcuno ci aiuterà. Un futuro solidale è (im)possibile.

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  • Nato a Reggio Calabria, si è formato nell’area dello Stretto, coronando la sua formazione con un Ph.D. in Metodologie della Filosofia presso l’Università di Messina. Pop-filosofo di osservanza deleuziana, si occupa di estetica, psicoanalisi e filosofia della cultura di massa, con diverse pubblicazioni al suo attivo. Fa parte del comitato editoriale della rivista internazionale Mutual Images.

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