Pillole di Storia: Panama City

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«Mia cara Lisa, mio splendido e tenero figlio Enrico, spero stiate bene. Io sto bene, anche se in parte preoccupato, quasi terrorizzato, nonostante la mia lunga esperienza di zone del mondo difficili e in bilico. È la vigilia di Natale, una vigilia e poi un Natale senza di voi, una vigilia di guerra senza quartiere e lutti per molti. Gli avvenimenti stanno prendendo purtroppo una piega inaspettata, pericolosa e sanguinosa per gli americani, ma anche per tutti i poveri militari e poveri cristi civili di Panama City, ormai sotto il tiro dei marines e le bombe da quattro giorni. Doveva essere in fondo una semplice vacanza natalizia, una passeggiata all’estero per i prodigiosi, grintosi e armatissimi nipoti dello zio Sam, ma qualcosa è andato storto. Lo sbarco fulmineo del 20 dicembre sulla costa e dall’aria di ben trentaduemila uomini super addestrati e motivati avrebbe dovuto consentire in poche ore la cattura e l’arresto del deposto Presidente Manuel Noriega, il celebre faccia di ananas di tutta la stampa satirica statunitense e un rapido e trionfale ripiegamento con l’illustre prigioniero sconfitto e in catene al seguito, per poi processarlo pubblicamente in America e seppellirlo in carcere in eterno per un gigantesco e lucrosissimo traffico di droga da lui ideato e diretto. Questo almeno è quanto sostiene il Dipartimento della Difesa. La verità è che gli americani, al loro solito, lo hanno prima foraggiato generosamente negli anni passati nella corsa al potere come loro uomo forte e fedele anticomunista fervente, pur a conoscenza dei suoi non pochi peccati e del suo infimo livello morale. Poi però lo hanno semplicemente buttato a mare, scaricato senza indugi, quando ha cercato di occuparsi un poco anche dei guai endemici e della fame dei “campesinos”, i contadini miserabili di questa lingua di terra e di giungla impenetrabile malarica che ospita il nevralgico Canale, tradizionale cortile di casa americano da un secolo e oltre. Nel timore di una deriva popolare sandinista e magari una potenziale rivoluzione molto pericolosa in quest’area, hanno preferito al loro solito disfarsene rapidamente, fermo restando il fatto che Noriega sarebbe realmente a capo di una colossale organizzazione del traffico internazionale di cocaina, altra robaccia tossica e armi in quantità, in accordo con le più potenti bande criminali colombiane e boliviane, essendo peraltro uomo avidissimo di denaro e potere. Le più grandi banche di Panama City sarebbero inoltre il terminale scientifico di un incredibile riciclaggio di narcodollari, anche se questo si sapeva da parecchio tempo negli ambienti investigativi e governativi USA. I militari fedeli al regime attuale, in buona parte mercenari sudamericani del dittatore, profumatamente pagati, hanno invece deciso di resistere a oltranza, coinvolgendo la popolazione civile in un bagno di sangue autentico e inutile. Purtroppo gli americani sono fatti da sempre così. Dicono di essere solo dei ferventi democratici, per nulla imperialisti e di aiutare con grande slancio chi è in difficoltà e non si professa apertamente comunista, ma quando intravedono un minimo pericolo o un estraneo nel loro giardinetto diventano spietati. Oltretutto hanno da sempre un tale prestigio universale e tale ricchezza di mezzi da poter imporre rapidamente la loro legge a chiunque, in barba a qualunque delibera o risoluzione delle ormai scadute in prestigio Nazioni Unite. Hanno atteso quindi qualche mese per prudenza, ma, una volta caduto il muro di Berlino e finita di fatto la lunga guerra fredda e il braccio di ferro con i sovietici, hanno capito di poter avere mano libera nel sistemare i conti con Noriega e hanno invaso Panama con la massima disinvoltura e con mezzi militari poderosi. Non ho potuto documentarlo di persona ma ho notizia certa di prigionieri fatti fuori dai marines appena alzate le braccia in segno di resa e di civili e militari ancora vivi travolti e schiacciati dai potentissimi e inarrestabili carri armati M1 Abrams. Anche gli attacchi dal cielo sarebbero continui e molto pesanti e indiscriminati, barbari, con moltissime vittime incolpevoli fra i civili compresi vecchi e bambini. Le famose operazioni mirate e chirurgiche sarebbero in realtà una grande bufala, solo una rozza e fatua propaganda. Le comunicazioni telefoniche sono del tutto interrotte fin dal primo giorno, ma questo sarebbe opera anche, almeno così dicono miei colleghi giornalisti molto esperti, degli Awacs, gli aerei d’incursione elettronica per eccellenza, in modo da far saltare tutte le comunicazioni del nemico e la catena di comando militare. Mentre scrivo alla luce dei fari di un enorme fuoristrada blindato Humvee, è la prima volta che questa nuovissima specie di jeep tuttofare colossale e inarrestabile dei marines dai colori mimetici da deserto esordisce con successo su un fronte di guerra, è quasi mezzanotte, ma indosso ancora il giubbotto antiproiettile e l’elmetto in dotazione ai giornalisti “embedded”, autorizzati dagli americani a seguirli nella loro comunque vittoriosa avanzata. Alle dieci di stasera ho terminato un lungo e articolato pezzo di cronaca bellica per l’Ansa e “Repubblica” e forse domani o al massimo dopodomani, ungendo i meccanismi con dollari freschi e di soppiatto, riuscirò a inoltrarlo alla redazione con il telefono satellitare del gruppo trasmissioni di un gigantesco sergente nero dei marines texano, un tipo molto sensibile al frusciare delle banconote anche se molto coraggioso in battaglia e del tutto insensibile al sibilare delle pallottole. Questa moderna operazione militare definita pomposamente “just cause” è solo un pretesto degli americani per regolare i conti, insensibili al fatto che si tratta in ogni caso di una palese invasione di uno Stato sovrano e libero. Di Noriega, comunque, ancora nessuna notizia certa. Sono sulle sue tracce tenacemente da giorni agenti scelti armatissimi della Dea, l’antidroga americana, e rangers, corpi speciali. Per la verità stamani, verso le sei, una grande notizia ci ha fatto scattare dal sacco a pelo. Sarebbe stata però solo una colossale, tragica delusione, una mezza truffa. Un valoroso collega tedesco della Reuters mi ha svegliato e pregato di prepararmi in tutta fretta. Forse avremmo potuto accodarci ai marines in partenza per stanare il dittatore di Panama, segnalato da informatori sicuri come rintanato in una suite lussuosa del prestigioso Marriott Cesar Park Hotel in centro città e circondato e difeso da un centinaio di fedeli pretoriani cileni e honduregni super pagati. In capo quindi a una mezzora un’imponente colonna di marines armati fino ai denti del II battaglione d’assalto e lunga quasi mezzo kilometro era in movimento. Il loro comandante attuale è il mitico colonnello veterano Brian Ute Sustendhall-Jones, chiamato da tutti Susty, ultimo esemplare riuscito di una storica e celebre famiglia di militari di buona fama che hanno servito per decenni il loro paese. Tutti gli americani con un doppio cognome inoltre, pur non essendo mai esistita di fatto negli USA la nobiltà, pare abbiano forse in genere in comune una certa origine familiare antica di pregio e molto ricca oppure portano anche un cognome materno per puro vezzo o valore sociale della donna. Si tratta in ogni caso di un vero possente animale che sfiora i due metri d’altezza e oltre cento kilogrammi di muscoli definiti e levigati, quasi un boscaiolo classico dell’Oregon di circa quarant’anni, dal volto rugoso e fascinoso, una vera faccia da cinema, un tipo alla Eastwood per intenderci, molto gioviale e amatissimo da tutti i suoi uomini. Il colonnello ha bloccato la lunga colonna a circa trecento metri dall’Hotel, per non fare svanire la sorpresa. Poi circa ottocento marines hanno cinturato di corsa in pochi minuti l’intero perimetro, mentre i veicoli corazzati e i camion da trasporto seguivano lentamente il reggimento di marines a piedi, pronti a intervenire con le armi pesanti. Io ho avuto solo il tempo utile di prendere uno schifosissimo caffè americano allungato parecchio per poter assumere due pasticche di chinino con un poco di acqua minerale caldissima. Questa stupenda terra è anche il tempio della malaria, anche nella stagione fresca e io ho il terrore di contrarla e portarmela a casa per il resto dei miei giorni. Dalla malaria purtroppo non si guarisce quasi mai del tutto. Avevo molta paura e pensavo sempre a te e al nostro ragazzo, poi ho calcato l’elmetto, mi sono fatto coraggio e sono partito. In fondo, essere protetti dai più moderni e tecnologici soldati al mondo è uno straordinario privilegio, quasi certamente una garanzia di sopravvivenza, anche se le pallottole vaganti e le bombe non hanno indirizzo certo e non tengono conto di nazionalità alcuna e innocenza. Appena circondato il grande e lussuoso albergo, il colonnello Sustendhall ha impugnato un megafono, poi, sprezzante del pericolo, una grossa Beretta S98 in vista alla cintola, si è piazzato a gambe larghe davanti all’ingresso e ha urlato due parole: «Only surrender», accettiamo solo la resa. Dopo dieci minuti di pesantissimo, opprimente silenzio, è venuto fuori un militare piccolo e macilento, davvero messo assai male, sulla cinquantina, forse meno, un colonnello dell’armata di Noriega, forse in preda a crisi malarica o attacco di mal di fegato, perché era di un intenso giallo limone in volto. Si è avvicinato molto prudentemente e lentamente all’americano suo parigrado, poi ha detto in uno spagnolo perfetto che il Presidentissimo non era rifugiato nell’hotel, ma erano presenti solo militari di alto grado con le loro famiglie, per sfuggire alle bombe americane e altre famiglie della crema cittadina, i pochi ricconi di un paese altrimenti miserabile. Il militare americano si è bloccato perplesso e in parte deluso. Le loro informazioni, pagate pare a dei viscidi disertori comunque profumatamente, sembravano quelle giuste. La canaglia dalla faccia di ananas, il principale nemico degli americani, in quel momento doveva forse essere nascosto convenientemente in qualche armadio a muro. D’improvviso però è successa una cosa stranissima. Lentamente, come a un muto ordine, cominciarono a defluire dal grande albergo su due file parallele centinaia di persone. Militari in divisa, borghesi ambosesso elegantissimi pieni di valige, tutti miliardari ingrassatisi negli anni all’ombra della corruzione e del malaffare instaurati e garantiti da Noriega, donne con bambini piccolissimi in braccio o tenuti per mano, personale in livrea, camerieri, galoppini, uomini della sicurezza e cuochi, persino il sofisticatissimo direttore messicano dell’albergo, portandosi appresso tutti i pochi beni personali che avevano potuto salvare. La scena era surreale e comica. Nessuno si è preso comunque la briga di alzare le mani. L’incredibile processione è sfilata davanti all’allibito colonnello americano e a una decina di inviati, me compreso. Solo i molti militari panamensi di buon grado presenti hanno comunque portato rispettosamente la mano destra alla fronte nel loro classico saluto marziale. Meglio essere comunque prudenti e diplomatici, con gli M16 dei marines spianati sugli occhi e pronti a far fuoco. Erano tutti contenti di averla fatta franca, pur avendo solo di fatto abbandonato vigliaccamente al peggio i loro reparti militari in attesa di ordini. Finita la processione, il colonnello Sustendhall non ha fatto una piega. Si è acceso un lunghissimo e costoso sigaro cubano di marca, poi ha detto semplicemente, anzi ha urlato: «Go». Di colpo, sbraitando come degli ossessi, al segnale convenuto, gli ottocento marines si sono lanciati eccitati al tanto a lungo atteso saccheggio del prestigioso Hotel Marriott, con il pretesto di scovare l’inafferrabile Noriega. Dopo circa due ore la fallimentare missione si è conclusa. Si è trattato solo di una scampagnata mattutina in zona infestata dal nemico, un nemico tuttavia di infimo livello per un’armata del genere. Comunque nessun danno e nessun ferito. Tutti incolumi, soldati e giornalisti. Siamo tornati tutti via di corsa verso la sterminata e poverissima periferia nord, dove siamo attestati. Bisogna anche riconoscere che i marines si sono comportati relativamente bene. Solo qualche souvenir, servizi completi da bagno, che vengono sempre utili in zona di guerra, calzascarpe d’ottone, qualche pregevole posacenere firmato e altre cianfrusaglie inutili. Qualche marine spiritoso si è poi vantato di aver fatto i suoi bisogni nella suite da tremila dollari a notte. Temo, mio caro amore, che la missione durerà ancora a lungo, con altro sangue da versare, se non si riesce a catturare Noriega, almeno per ora introvabile. Purtroppo, pare che agli uomini riesca bene solo di azzuffarsi mortalmente. È l’unica attività in cui riescano a dispiegare un talento innato e letale. Se gli americani riusciranno a ripristinare le linee telefoniche, entro qualche giorno vi chiamerò, anche per rassicurarvi sulle mie condizioni, che sono ottime. In ogni caso riceverete questa mia missiva prestissimo. L’Us Army Service Mail, il servizio postale militare americano è velocissimo, efficiente e gratuito, aperto anche ai corrispondenti di guerra. Un tenerissimo augurio di Buon Natale a tutti voi. Ci vediamo presto, sempre che si riesca a trovare in tutta fretta quella gran carogna di dittatore narcotrafficante di Noriega, prima grande amico e sodale, ora nemico giurato dei nostri cari alleati a stelle e strisce. Speriamo comunque che non abbia già varcato il confine panamense, altrimenti ci toccherà di invadere in letizia e senza preavviso alcuno o dichiarazione formale di guerra un altro paio di Nazioni libere e sovrane».

Vostro Franco.
Panama City, 24 dicembre 1989.

Dal racconto Lettere morte di F. A. C. Amazon 2017

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  • Franco Augusto Cartisano, Reggio Calabria 1948, supplente di Lettere in gioventù, poi bancario per una vita. Bricolage e letture storiche le sue passioni. Basso profilo abituale, ha al suo attivo anche quattro ignobili romanzi di genere diverso. L'ultimo, "La Baia di Churchill", un poderoso poliziesco vintage, commedia romantica, è uscito nel 2014 per Watson Edizioni Roma.

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