Il gioco delle coppie (titolo internazionale Non-Fiction, titolo originale Doubles vies), nuovo film di Olivier Assayas, fa una puntuale riflessione su quelle che sono le dinamiche tra realtà e post-verità al tempo dei social, e lo fa esplorando il mondo dell’editoria, analizzando le nuove tecnologie e i riflessi che possono avere nella società di oggi.
Non-fiction si può leggere su due binari paralleli, perché narrando la storia di una casa editrice, con i suoi cinque personaggi a fare da corollario, ci viene raccontata una storia, che è poi la storia di ognuno di noi, sempre alla ricerca di noi stessi. Così ognuno dei protagonisti del film ha una doppia vita, sempre in fuga dal proprio vero essere. Il regista inoltre si pone degli interrogativi che sono spesso quelli che caratterizzano la sua poetica. Che valore ha l’arte nell’era della riproducibilità/programmabilità digitale? È possibile pensare con leggerezza che uno stesso romanzo possa essere scaricato e letto su un tablet, addirittura in uno smartphone? E questa smaterializzazione dell’esperienza muta il contenuto dell’opera o l’atteggiamento dello scrittore? Ogni cosa sembra mossa da un software, unico reale contemporaneo.
Illuminante la citazione di Luci d’inverno di Ingmar Bergman, cioè la scena in cui un prete che ha perso la fede predica in una chiesa vuota. Una metafora quanto mai attuale per i cinque protagonisti. Ma il vero problema, dice Alain/Assayas a Laure, non è certo la chiesa vuota (l’editoria come il cinema troverà sempre nuovi modi di sopravvivere) né tantomeno il prete (che come l’autore ha ancora il compito di porsi domande, giuste o sbagliate che siano). Il vero problema da porre riguarda allora il medium che unisce queste due dimensioni: la credenza. Insomma, noi ci crediamo ancora?
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