In amore e in politica (un tempo si diceva “in guerra e in amor”) spesso va accettata la logica del “seggio vuoto” o della “sede vacante”. Quando la successione dinastica o il transfert erotico falliscono, è sconsigliato forzare un’intronizzazione. Addirittura, non sarebbe il caso di considerare quel fallimento come la norma, come un difetto del trono-in-sé?
O, ancora, senza accontentarsi di rivalutare il negativo, spingersi all’affermazione convinta della necessità della casella vuota? Come lo scaffale vacante nella Bottega della Pecora che fa impazzire Alice o la casella libera del caro vecchio gioco del 15, il posto vuoto mette in moto la baracca.
C’è sempre il paradosso di una sedia libera e di qualcuno che non riesce a sedersi, la mancata coincidenza del desiderio e dell’amore, della pulsione e dell’oggetto, del regnante e del regno. “Lo Stato non sei Tu”. Lo Stato, l’amore, è sempre un Altro, irreversibilmente perduto.
Dal campo virtuale di quel posto vuoto, dal cuore di quel non senso al centro del nostro mondo, partono le linee di fuga delle nostre vite senza re, in fuga da un regno di troppo. L’arte del vuoto è una saggezza antica, una delle pratiche spirituali messe in luce da Pierre Hadot. Penso agli stoici, e, sulle pagine di Strade, qualche giorno fa, Enzo Musolino faceva appello agli scettici, in questi tempi interessanti e difficili.
Viviamo tempi in cui non serve tanto gridare all’usurpazione della politica da parte dei barbari, quanto accettare di restare in piedi al gioco della sedia che scotta. Non è male non trovare posto nel mondo. Il manuale galattico per spaesati potrebbe ben ospitare alcuni saggi critici di Giuseppe Rensi, pensatore veneto con docenze messinesi che ha riscoperto il lato negativo dello hegelismo — qualcosa di non dissimile dall’operazione di Slavoj Žižek. Rensi, nella lettura di Musolino, convoca giustamente accanto agli stoici Spinoza, il “santo della filosofia”.
La figura di Spinoza permette di effettuare una torsione sul negativo di Rensi, sconfinando in Deleuze: ci sono sì che sono anche no, dei no da cui nasce la potenza creatrice della vita. Detto altrimenti: un immanentismo non razionalista che però conservi l’apertura del desiderio che Musolino giustamente reclama e nomina come trascendenza.
Il posto vuoto, il seggio vacante, lo Stato che non sono io, l’assoluto che non coincide con la propria immagine, l’amore che non si sposa mai col desiderio. O ancora, l’incontro che non avviene mai, lo scaffale che si svuota del libro proprio quando vorresti consultarlo. Là dove sembra che qualcosa ci sfugga, la vita ci sta afferrando.

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