di Laura Cirella
Addio fantasmi, finalista al Premio Strega 2019 per i tipi di Einaudi, è un romanzo che deve tanto allo Stretto di Messina. Riconosco il lessico famigliare e geografico di Nadia Terranova. Tutti quelli che hanno avuto la fortuna di nascere in riva allo Stretto sperimentano il suo attraversamento. Assaggiano quello scenario fatto di Fata Morgana, di miti greci, di avvistamenti di delfini, di passeggiate a mare, di scogli e promontori che rievocano mostri marini. Riconosco quel richiamo di casa fatto di andate e ritorni su treni lenti, di cucine e madri che apparecchiano le tavole, di condimenti e di mollica di pane in mezzo alla carne, di gradini all’ombra di davanzali sui quali accovacciarsi, di terrazzi assolati che guardano la città.
Addio fantasmi racconta lo Stretto
Addio fantasmi è questo lessico meridiano ed è la narrazione dell’assenza di un padre, è la poetica del dolore incessante al ritmo delle onde dello Stretto.
Messina è frontiera, così come Reggio. E la frontiera è un’eterna messa alla prova: quanto sei isola? Quanto sei terra ferma? Quanto sei disposto ad attraversare e farti attraversare dal mare?
Riconosco, quindi, quel lessico famigliare come un rito, come una litanìa: la misura nei rapporti con i propri familiari, gli anni del Liceo e poi, immancabilmente Messina, le strade, le ville con i loro arbusti, la Madonna che benedice la città, Nettuno che incute timore al mare per placarne le onde.
Addio fantasmi sembra un singhiozzo dimesso
L’esordio del racconto di Ida, la protagonista, sembra un singhiozzo dimesso, un cordoglio silenzioso e ripetuto. Un padre scomparso, né vivo né morto. Il dolore che occupa tutto, ogni vuoto, senza lasciare spazio alcuno al dolore e all’amore altrui, sia della madre, sia del marito, sia dell’amica di infanzia. Lampi di rabbia riecheggiano nel tentativo di aggrapparsi a ciò che resta, di trovare alibi, giustificazioni al sacrificio, di controllare anche il proprio corpo con i suoi desideri. Ma il ritorno, alle origini, alla casa, alla città natale, il ritorno a quella tavola apparecchiata, indossando gli abiti della madre, rompe gli argini. L’attraversamento è compiuto e lo Stretto non lascia scampo.
Nei sentimenti espressi si leggono diverse sfumature tipiche dello Stretto
Il singhiozzo iniziale diventa incontrollabile, vertiginoso, l’assenza è un istante di voragine, i ricordi sepolti vivi in una scatola nascosta. La scatola deve essere aperta e solo allora il singhiozzo può sciogliersi in pianto, un torrente. La rabbia cede finalmente spazio al dolore altrui che merita di essere ascoltato. Come quello del giovane Nikos, il greco, o di Sara, che sono una lezione sulla fatalità della vita alla quale non possiamo porre rimedio.
In questi sentimenti, leggo le sfumature del sole insulare, percepisco le ombre profonde che quella luce accecante può generare. Una mischia furiosa di lutto e luce, per dirla con il Bufalino di Cere perse. I fantasmi possono finalmente immergersi nuovamente tra le onde dello Stretto e il mostro marino interiore riscendere negli abissi, almeno per un po’.
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