Lady Bird è un film del filone coming of age, ma interpreta il genere in chiave squisitamente indie, in un caleidoscopio di entusiasmo e malinconia, di disinvoltura e disimpegno, di ribellione e tenerezza. A riuscire in questo amalgama dall’effetto a tratti poetico e smarrito a tratti divertente e divertito, sotto i buoni auspici della sorprendente casa di produzione A24, è la regista Greta Gerwig, in una pellicola autobiografica che la riporta nella sua Sacramento.
La capitale della California è il luogo più noioso dello Stato, almeno per la protagonista Christine, autoproclamatasi “Lady Bird”, interpretata da una debordante Saoirse Ronan. Lady Bird è in fuga dalla “piccola città, bastardo posto”; l’ultimo anno di liceo in una scuola cattolica è nelle sue intenzioni l’anticamera della liberazione, il trampolino di lancio verso la East Coast dei suoi sogni, l’America «dove almeno c’è un po’ di cultura […] dove gli scrittori vivono nei boschi». La storia di Christine, come suggerito da un mio collega all’uscita del cinema, è un processo psicologico di separazione-individuazione, ma, correggendo la Mahler con Lacan, direi che è anche un processo di separazione-alienazione; alla fine dei giochi, Lady Bird scopre infatti che anche gli uccelli che volano oltre hanno bisogno di un piccolo scoglio a cui appoggiarsi… ma andiamo per gradi.
Prima di vedere il film temevo che la fuga di Christine McPherson dall’ambiente familiare, scolastico e cittadino avrebbe assunto i classici tratti di un velleitario ribellismo giovanile; che, come i sessantottini, Lady Bird fosse “in cerca di un padrone”, e che in fondo alla sua parabola di crescita l’avrebbe trovato. E invece, alla fine, trova l’amore, ma non nel senso del batticuore adolescenziale: Christine trova il sottile filo sospeso tra pulsioni e legami, sente la mano che veglia sul respiro della figlia, anche da lontano, e nella telefonata finale ai genitori il senso della provincia americana viene estratto dal divenire della grande città. La sua, come evidenzia Martina Puliatti su Fata Morgana Web, è una fuga “creativa”, un anelito che non trova nel vuoto del padrone, nella rivolta contro l’origine, un viatico per la “dannazione”: ogni suo fallimento è una benedizione, perché la scoperta del limite la consegna all’amore. Ma ancora una volta non devo lasciarmi trasportare dal ritmo sincopato del film, che procede più a sketch e quadretti che a scene madri (come ben sottolinea Alessandro Beretta su linus di marzo). Non devo essere mimetico rispetto all’irruenza di Christine “Lady Bird”.
Separazione e alienazione, dicevo, perché Lady Bird si separa dai suoi, dalla sua città, dal “Midwest della California” attraverso un processo di maturazione in cui accetta di “alienarsi”: riconosce le proprie debolezze, le incarna, come quando piange appoggiata alla madre dopo la prima fallimentare notte d’amore, e guarda in faccia le miserie dell’altro, che pure aveva prima romanticamente idealizzato. Christine, oltre a investire sull’identità “gonfiata” di Lady Bird, sale sull’altalena delle identificazioni e delle separazioni. Lotta per il riconoscimento delle proprie aspirazioni con una madre che sembra volerle trasmettere il senso del limite, la misura dell’impossibile, e si appoggia a un padre che sembra più materno e amorevole della moglie e al contempo aiuta concretamente la figlia nella ricerca dei finanziamenti per l’iscrizione all’Università.
Per una ragazza cresciuta in una scuola privata cattolica, il coming of age è anche il momento dei primi fidanzamenti e dei primi rapporti sessuali, e anche qui la protagonista si lascia trascinare dalla propria indole appassionata: dapprima idealizza Danny, compagno del corso di teatro e suo primo fidanzato, che poi scopre essere omosessuale; poi resta affascinata dal ricco “complottista” Kyle, il cui cinismo a letto non riesce fortunatamente a contagiarla. Alla frequentazione con Kyle corrisponde un’altra topica decisiva del cammino di Lady Bird: all’amica di sempre, Julianne “Julie”, dolce e insicura, Christine “sostituisce” la ricca e superficiale Jenna. Nel momento in cui Lady Bird ritrova se stessa, già prima di partire per la East Coast, ritrova anche Julie, andando con lei al ballo della scuola in barba ai pregiudizi altrui e allo snobismo di Kyle e Jenna.
Ma Lady Bird ha come sfondo l’America dei primi anni Duemila, il post 11 settembre, la difficoltà economica dei padri e dei figli, e ha persino dentro il testo di Howard Zinn, A People’s History of the United States (1980), una delle letture “maledette” di Kyle nonché una storia degli Stati Uniti dalla parte dei sottomessi – la parte dei senza parte. L’altra grande istituzione, la Chiesa cattolica, se sconta anch’essa una perdita d’aura nella narrazione della Gerwig, vede in suor Sarah Joan e padre Leviatch dei personaggi che interpretano il proprio ruolo con umanità e ironia.
E non è un caso che sia la Chiesa il luogo in cui, nel caos di New York, Christine ritrova una casa. Ma poco prima aveva già ritrovato il nome, il “Nome-del-Padre”. Lady Bird si fa chiamare di nuovo Christine, perché ha riscoperto la propria storia, guidando per le strade di Sacramento, dopo aver preso la patente: basta guardare il mondo da un altro punto di vista, per riannodare le fila, nello spazio tra chi si era e chi si diventerà.
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