La scienza è una cosa seria. Lo scientismo no

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Lo stato della divulgazione scientifica

La scienza è una cosa seria e anche la divulgazione dovrebbe esserlo. Ma generalmente le cose non sembrano essere esattamente così, perlomeno in Italia.

Fare divulgazione scientifica seria, a mio avviso, richiede non solo ovviamente un’ottima conoscenza tecnica di base ma anche uno sforzo di aggiornarsi sul dibattito epistemologico intorno alla scienza.

Dibattito che ha visto interessarsi non solo filosofi di professione ma anche gli stessi scienziati che hanno portato avanti, in prima persona, le grandi rivoluzioni del Novecento.

Tuttavia la divulgazione scientifica nel Bel Paese, ad osservare gli esponenti più famosi, (e mi riferisco a Odifreddi, Boncinelli e Burioni) sembra essere ad uno stadio molto superficiale.

L’importanza per la scienza del dibattito epistemologico

Fare divulgazione significa quantomeno tenere in considerazione quanto la letteratura scientifico-epistemologica abbia prodotto sul tema.

La cosa che lascia interdetti è invece lo stadio in cui essa spesso e volentieri si trova: roba da positivismo ottocentesco.

La divulgazione è ancora ferma all’Ottocento

La scienza è, nella migliore delle ipotesi, presentata come un accumulo di dati, lineare, fondato su solide certezze, oggettive (nel senso di prive di qualsiasi rapporto con l’osservatore) e valide una volta per tutte.

Non solo. Lo scienziato è di conseguenza presentato come una sorta di novello Mosè (così il premio Nobel Prigogine rappresenta in modo ironico Newton), con le nuove tavole della legge, della verità incarnata, a cui tutti devono inchinarsi in modo dogmatico, pena l’essere degli asini incompetenti o degli squallidi irrazionalisti.

Nella foto Werner Heisenberg (a sinistra) e Niels Bohr (a destra)

Una malattia chiamata scientismo

Questo modo autoritario di presentare la scienza (che nulla ha a che vedere con la ricerca scientifica) ha un nome: e si chiama scientismo.

La cosa curiosa è che nessun grande scienziato fosse affetto da tale malattia. Da Einstein ad Heisenberg, i grandi scienziati e premi Nobel del Novecento erano tutto fuorché degli scientisti.

Le rivoluzioni della scienza

Thomas Kuhn, celebre epistemologo americano, basandosi sulla storia della scienza, ha evidenziato piuttosto il carattere rivoluzionario della stessa. Concetti che all’interno di un paradigma, di una concezione del mondo, risultano privi di senso, paradossalmente possono assumere ed essere la chiave di volta per un mutamento rivoluzionario e l’avvento di un nuovo paradigma e quindi di una nuova visione del mondo.

Il caso della rivoluzione copernicana e della teoria dei quanti

Possiamo pensare, a titolo di esempi, alla rivoluzione copernicana, per cui concetti assolutamente contro-intuitivi all’interno del senso comune (il Sole fermo e la Terra in movimento), sono diventati una ovvietà, all’interno del moderno paradigma eliocentrico.

O ancora, la teoria corpuscolare della luce di Newton, considerata falsa per diversi secoli, nel Novecento ha avuto di nuovo una riscossa e si è imposta come paradigma vincente, nell’ambito della moderna teoria dei quanti.

La reale natura della scienza

Come si vede da tutto questo, è chiaro che la scienza non sia affatto un corpus di verità assolute e incontrovertibili. Anzi essa rivede le proprie posizioni, concetti che in un dominio non hanno senso, in un altro, più ampio, risultano parte integrante e fondamentale.

E, si badi bene, questo non è relativismo. Tutto ciò non significa che un paradigma equivalga ad un altro, ma che un paradigma più ristretto venga soppiantato da uno più ricco e potente, rivoluzionando interamente i concetti in uso.

Le obiezioni ad una divulgazione seria

Un’obiezione che ho letto di frequente è questa.

In un Paese in cui si crede alle scie chimiche, in cui ci sono battaglie contro i vaccini, in cui si mette in dubbio lo sbarco sulla Luna e in cui si diffondono altre teorie complottistiche, è utile attaccare questi divulgatori perché propongono un’immagine autoritaria della scienza? È utile attaccarli perché non tengono conto delle ricerche epistemologiche e di quanto è stato raggiunto dalle riflessioni degli scienziati veri e propri?

Un fanatismo non va sostituito con un altro

A mio avviso, sì. Accettare i risultati che la scienza ha raggiunto finora, non significa, allo stesso tempo, fare di questa un sapere incontrovertibile, non significa riesumare il mito scientista. Non significa sostituire un fanatismo con un altro. Significa piuttosto incoraggiare lo spirito critico, significa rifiutare le facili e illusorie semplificazioni propagandate dai media, che spesso mortificano la riflessione ed il ragionamento.

La scienza è certamente uno strumento potente per orientarsi nel mondo, ma non una sorta di verità rivelata. Sostenere questo, quindi non significa affatto porsi in chiave anti-scientifica, a meno che non si voglia semplificare e stravolgere il discorso e allora si è in mala fede o non lo si è ben compreso.

Fare corretta divulgazione significa, a mio avviso, rappresentare la scienza per quello che è, un sapere potente ma limitato e correggibile, incoraggiando anche i tentativi, da parte degli addetti ai lavori, di farla progredire attraverso l’immaginazione e l’inventiva.

E no, l’atteggiamento da bulletto dei vari Burioni o Odifreddi poco aiuta in questo senso.

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  • Nato a Reggio Calabria, laureato in Filosofia Contemporanea, al di là di dove vivrà effettivamente in modo stabile, porta dentro di sé l’amore per il Mezzogiorno e per lo Stretto. Si occupa principalmente di epistemologia e di filosofia della politica. Sogna un nuovo umanesimo che eticamente possa guidare il progresso tecnico-scientifico in una direzione umana. Strenuo difensore dei diritti civili e sociali contro l'intolleranza e l'oscurantismo.

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