“La lunga notte” de Il Trono di Spade: Arya contro la pulsione di morte

Arya Stark La lunga notte

La lunga notte: l’entusiasmo dei fan

La lunga notte, terzo episodio dell’ottava ed ultima stagione de Il Trono di Spade, è stato commentato, twittato, spoilerato come mai non era accaduto nella storia della serialità televisiva. Non sono mancati elogi sperticati ai punti di forza della puntata, durata 80 tesissimi minuti: basti citare la potenza iconografica delle scene, vere e proprie “cronache del ghiaccio e del fuoco”, o l’epica di una narrazione che non sfigurerebbe accanto alla Battaglia del Fosso di Helm ne Le due torri, secondo film della trilogia de Il Signore degli Anelli.

Il Re della Notte arriva al buio

Non sono inoltre mancate punte di ironia rivolte al buio pesto che ha avvolto alcuni frangenti della battaglia, nei momenti in cui il fuoco ambrato o azzurrognolo dei draghi (o delle catapulte o delle spade ardenti) non rischiarava i combattenti, impegnati in una carneficina dall’esito incerto fino all’imprevedibile finale. La tattica bellica dei difensori di Grande Inverno si rivela infatti solo inizialmente vincente, per cedere il passo di fronte ai “numeri innumeri” dei non-morti lanciati alla scalata delle mura di Grande Inverno e alla resurrezione da parte dell’agghiacciante Re della Notte degli zombi messi fuori combattimento dai nostri prodi. Più li uccidi e più si rialzano? L’unica soluzione per gli assediati, lo si sapeva dall’inizio, sarebbe stata fare fuori il Night King, generando un effetto domino capace di mettere a tacere gli Estranei e l’armata dei morti viventi.

Ma forse solo un visionario avrebbe potuto immaginare che la battaglia sarebbe stata decisa da un “gioco di prestigio” di Arya… A vincere il male, in perfetto stile ninja e con un’astuzia da arte cinese della guerra, è una tecnica che, in una classica formazione fantasy, sarebbe appannaggio di un ladro. La daga piantata all’ultimo istante utile nel corpo del Re della Notte è stato un vero coup de théâtre.

Arya Stark è Azor Ahai?

Non è né Jon Snow, il rivale più accreditato del Re della Notte, né lo “sterminatore di re” Jaime Lannister, desideroso certo di aggiungere un altro sovrano alla sua lista di uccisioni illustri, a porre fine al terrore e a impedire l’avvento della notte eterna sul mondo. È invece un’adolescente, la scaltrissima e agilissima Arya, che ha appreso le tattiche dell’omicidio e della dissimulazione nella Casa del Bianco e del Nero, a uccidere il Night King, utilizzando tra l’altro un’arma infida, il pugnale in acciaio di Valyria del sicario inviato ad uccidere Bran nella prima stagione. Qualcuno è arrivato a pensare che Arya Stark possa essere addirittura identificata con Azor Ahai, eroe leggendario che già in illo tempore aveva impedito l’avvento della Lunga Notte.

Il Re dei non morti sconfitto da una ragazza

Qualcuno avrà obiettato per il carattere poco epico di questa uccisione, per il suo aspetto contingente e quasi casuale, da stratagemma dell’ultimo minuto, da gioco di prestigio, appunto. Arya pugnala “con scatto felino ed agile mossa”, e c’è qualcosa di femminista e di rivoluzionario nel fatto che sia stata lei, un po’ come nell’uccisione del Re stregone di Angmar, capo dei Nazgûl ne Il Signore degli Anelli, da parte di una donna, la principessa Éowyn di Rohan.

Arya e la potenza di eros di fronte alla morte

Il carattere “altro” e inafferrabile del femminile lo rende imprevedibile persino per un potere considerato invincibile e quasi onnipotente. Inoltre, Arya riesce ad annientare il Night King dopo aver consumato la sua prima unione amorosa con Gendry, il figlio illegittimo di re Robert Baratheon. Possiamo pensare a un significato psicoanalitico di questa sequenza di eventi? Forse sì. Se sì, Arya Stark rappresenterebbe la potenza di eros, anzi, ancora meglio, il carattere infinito dell’eros femminile, capace di sopravanzare e sconfiggere la pulsione di morte. Quell’eros, come insegna Sofocle, ανίκατε μάχαν, “invincibile in battaglia”.

Melisandre: «Che cosa diciamo al Dio della morte?»

Arya: «Non oggi».

Che cosa diciamo noi al dio dell’amore? Ancora.

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  • Nato a Reggio Calabria, si è formato nell’area dello Stretto, coronando la sua formazione con un Ph.D. in Metodologie della Filosofia presso l’Università di Messina. Pop-filosofo di osservanza deleuziana, si occupa di estetica, psicoanalisi e filosofia della cultura di massa, con diverse pubblicazioni al suo attivo. Fa parte del comitato editoriale della rivista internazionale Mutual Images.

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