La crisi del calcio italiano stritolato da una visione superata

crisi del calcio italiano

Il calcio italiano è in crisi, soprattutto in Europa

La crisi del calcio italiano è ormai conclamata. Non sono solo le nette ed umilianti eliminazioni di Juventus e Napoli(le ultime in ordine cronologico) ad opera di Ajax e Arsenal a far suonare il campanello del “gong” ad un calcio italiano irrimediabilmente depresso.

C’è poco da sorridere per l’italico pallone. Fuori da ogni possibile podio europeo, deriso in campo, ma soprattutto nel business da un mondo calcistico che si evolve a ritmi serrati a differenza di un’impostazione del calcio tricolore ancora arcaica e addomesticata da un lobby difficile da scardinare. È vero, la Juve cerca di sgomitare per restare al livello delle Grandi d’Europa, e ci riesce in parte grazie soprattutto ad un lavoro societario che non ha eguali nel panorama italiano (con lo stadio di proprietà a fare la differenza): ma è solo una lucina in un movimento in difficoltà ormai da troppo tempo alla confusa ricerca dell’emulazione di altri Paesi.

Ma non funziona, ed i numeri freddi ed incisivi parlano chiaro: la classifica delle semifinali (Champions ed Europa League) raggiunte nelle ultime quattro stagioni è abbastanza indicativa: 11 Spagna, 9 Inghilterra e poi Germania e Francia a quota 3, Italia e Olanda a quota 2, Ucraina e Austria a quota 1.

La Serie A senza competizione

Il sistematico piazzamento delle squadre spagnole e inglesi, guidate dai carri armati Barça e Real, Chelsea, United, Liverpool, è il frutto di un’elevata competitività interna dei rispettivi campionati: d’altronde, se la Juve ormai in stile Rosenborg continua a collezionare scudetti come se fossero figurine, senza nemmeno sudare, mentre negli altri tornei ce la si gioca punto a punto, l’esito è più che scontato. Bisogna riflettere e lavorare su due aspetti chiave per poter innescare una svolta calcistica rivoluzionaria.

Partire da quello tecnico: non più scuole calcio, in cui c’è una cura maniacale verso l’aspetto fisico e tattico a discapito della qualità. Perché in Italia, dopo Baggio, Pirlo, Totti, Del Piero, non crescono più calciatori dal piede fatato e dalla giocata sopraffina, ma solo uomini di 1 metro e 90 buoni per i contrasti ma con difficoltà anche all’impostazione del palleggio più basilare. 

La fantasia al potere per un calcio di qualità

Liberare la fantasia, esaltare la qualità nei settori giovanilipotrebbe forse portare i nostri colori ad un gioco  maggiormente competitivo. Così come le nostre squadre dovrebbero iniziare a ragionare differentemente in termini di preparazione atletica: non è un caso che le squadre italiane arrivino a marzo già con la benzina finita, mentre le olandesi (vedi Ajax) viaggiano con il turbo inserito. Qualche errore evidente c’è e bisogna superarlo.

In ultimo l’aspetto economico: troppe società restano ancorate al vecchio calcio anni ’80-’90: non pianificano, non programmano interventi ed investimenti collaterali (stadio di proprietà, merchandising, marketing, comunicazione e social media) idonee al calcio moderno, con l’inevitabile conseguenza di un impoverimento cronico, economico d’accordo, ma anche tecnico e sportivo. L’Italia calcistica arranca, così come il Paese

di Vincenzo Ielacqua, giornalista

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