Per alcuni autori la vena artistica non si ferma mai. Qualcuno, addirittura, raggiunta una certa età diventa più prolifico, come nel caso di Johnny Marr, il quale ha pubblicato due dischi nel giro di due anni, The Messenger (2013) e Playland (2014), cui fa seguito il terzo da solista, Call The Comet.
Il primo tris di brani è bello tosto e adrenalinico. Riff ed assoli presenti in quantità, poi l’esplosione chitarristica si spegne, smorzata in parte da tappeti di elettronica.
Come evidenziato su SentireAscoltare, «The Tracers, in quest’ottica, rappresenta il brano manifesto del disco e della nuova onda Marr: quasi cinque minuti tiratissimi, con la batteria presa in prestito da The Queen Is Dead (il brano), i coretti dai Primal Scream, la melodia dal brit-pop e i synth dai New Order di Technique; il tutto, in puro stile stile Johnny Marr».
In conclusione il disco risulta essere una buona prova per il leggendario chitarrista degli Smiths.
Day In Day Out ha un riff dalle sonorità che rimandano a Big Mouth Strikes Again e vede la presenza come ospite di Noel Gallagher.
Quello che dispiace è che siamo al cospetto di un artista che probabilmente ha visto offuscare il suo talento a causa di un altro grande genio del pop-rock inglese, il suo partner e cantante Morrissey.
«Call The Comet è un album immensamente maturo, che aggiunge un altro tassello alla posizione stilistica di uno degli artisti più influenti del genere. La varietà narrativa, all’interno della cornice quasi da concept, gli permette inoltre di soddisfare diversi palati, da quelli nostalgici di un sound 80s a quelli un po’ più avventurosi. Nonostante tutto, però, negli album di Marr sembra sempre mancare qualcosa che li renda gemme imprescindibili».
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