“Il primo freddo”: la Reggio perduta di Demetrio Marra

Reggio via Marina

Il primo freddo, silloge poetica del reggino Demetrio Marra, appare sul numero 90 di Atelier, rivista storica di Letteratura e Critica, incentrato sul tema della cultura critica nella società di massa. È preceduta da un ispirato scritto di Andrea De Alberti, l’oste-poeta di Pavia (Dall’interno della specie, Einaudi 2017), la raccolta di Marra, figlio di Reggio migrato sulle rive del Ticino a studiare filologia italiana – Petrarca, Tasso, Gramsci.

Il primo freddo è un libro sulle storie, dice a ragione De Alberti. Banalmente, aggiungo, è un libro sulla memoria, anzi sulla soglia tra memoria e storia. Quando le memorie diventano storia? Forse quando smettono di essere singolari e si fanno plurali? Non esattamente. La storia è la memoria del non-mio. Non sua è la Reggio di Marra, sorpresa negli anni Quaranta della guerra cattiva, quella del nonno, dei padri dei padri, delle madri delle madri, dei figli morti prima delle madri: «Dimmi Rosa se sei  / sopravvissuta agli antenati / tuoi figli».

I ricordi im-propri si fanno un «grappolo di strade» che si inerpicano sulla vallata del Gallico, fin su a Sambatello; si fanno sinestesici e contorti come «foglie attorcigliate nei fili dei panni» che si appendono al viso. La memoria di un secolo è una «riserva sacra» dice De Alberti, un serbatoio virtuale da cui estrarre l’attuale, è il presente che passa e il passato che si conserva. Il tempo di Marra è bergsoniano e deleuziano, è memoria materica ed evoluzione creatrice. Ma il tempo di Deleuze è anche proustiano, epifanico, come si fa quello di Marra quando tratteggia incontri-eventi («La incontravo per le feste, pasqua/natale. Abitava sopra una bottega»), schegge di una storia detta al passato prossimo.

La Reggio del ’43, la città del Mezzogiorno più martoriata dalle bombe alleate, la Reggio di oggi, forse, amata da lontano, dall’esilio che catalizza il ricordo, lo rende prospettico, impersonale e personalissimo. Storie più estime che intime, interne-esterne, vuoti al centro della vita.

Come ritrovare una vita non vissuta? È il non-racconto del nonno, che la guerra la omette nel ricordo, ne fa vino e ballo. Il mondo del primo freddo è felicemente minimo, felice di sparire sopravvivendo: «Ridevi. A tavola con un piatto di minestra, / un cucchiaio tremolante e un padre, il mio, / che sapeva con te di che ridere – dell’antico / orologio, fra incolori riflessi della tovaglia». Un mondo che muore in Rosa, ma risorge nella rêverie di una chiesa di paese, di una pioggia battente, delle ombre sui muri.

La Reggio dall’afa dimessa è per Marra infanzia, adolescenza, vacanze, Pasqua, Natale, estate? È lo Stretto da Bova a Melia? Sono le foto e i nomi salvati e sommersi con la mamma, col papà, coi nonni? Quella di Marra, nato nel 1995, è un’eredità mitica più che genetica, una cosmogonia familiare. Un piccolo mondo quasi-antico e paleo-moderno, quasi moderno e già sobborgo, Santa Caterina, Gallico. Finalmente un posto.

Al tempo dei “non-luoghi” è già tanto – troppo.

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  • Nato a Reggio Calabria, si è formato nell’area dello Stretto, coronando la sua formazione con un Ph.D. in Metodologie della Filosofia presso l’Università di Messina. Pop-filosofo di osservanza deleuziana, si occupa di estetica, psicoanalisi e filosofia della cultura di massa, con diverse pubblicazioni al suo attivo. Fa parte del comitato editoriale della rivista internazionale Mutual Images.

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