Dogman: il western urbano di Garrone tra umanità e violenza

Matteo Garrone non sbaglia un colpo, nemmeno con il nuovo bellissimo Dogman, ambientato nella periferia romana.
Stavolta il regista scende negli abissi dell’animo umano, creando un western urbano, in cui riescono a coesistere umanità e violenza, tenerezza e bestialità.
Un film di contrasti, come l’ambiguità del rapporto tra il toelettatore per cani Marcello (Fonte) e l’ex pugile Simoncino (Edoardo Pesce, spaventoso), «poco di buono che tiene sotto scacco l’intero quartiere, inquadrato in una periferia sospesa tra metropoli e natura selvaggia».

Dapprima ben voluto, Marcello si vede costretto a subire le violenze e i soprusi di Simoncino, che lo costringe ad essere complice di una rapina per la quale lo stesso Marcello pagherà con il carcere, decidendo di coprire l’amico. Dopo un anno di galera, il “dogman” ritorna nel suo quartiere, ma ad aspettarlo non troverà nessuno, isolato ormai da tutta la comunità.

Gli rimangono solo pochi lampi fugaci, di dolcezza e tenerezza, con la figlia, con la quale condivide la passione per le immersioni.
Infine la sua voglia di riscatto lo porterà a compiere un omicidio, nei confronti dell’ex pugile, eseguito con una crudeltà proporzionata ai torti subiti.
Sensazionale il finale sospeso in un’ambientazione onirica, nella quale Marcello, «nel tentativo di riscattarsi dopo una vita di umiliazioni, si illude di aver liberato non solo se stesso, ma anche il proprio quartiere, e persino il mondo intero».

La scena in cui Simoncino viene trasportato sulle spalle da Marcello (con tutta la sua carica di significati metaforici) rimarrà una delle immagini più potenti del cinema italiano degli ultimi 10 anni.
Quello che avvenne tra Pietro De Negri e Giancarlo Ricci (il canaro e l’ex pugile), in quel febbraio del 1988 (ma il film è ambientato ai giorni nostri), è solamente “l’inizio”, per Garrone, di una storia che bisognava reinventare.
Di grande impatto la fotografia di Nicolaj Bruel, caratterizzata da giochi di luci ed ombre.

In Dogman si ritrovano elementi già visti sia in L’Imbalsamatore che in Gomorra, come la brutalità, un ambiente sudicio e la mancanza di una netta demarcazione tra “buoni” e “cattivi”.
Meritatissimo il premio come miglior attore al Festival di Cannes 2018 a Marcello Fonte, attore di origini calabresi (è di Melito Porto Salvo, cresciuto nel quartiere Archi di Reggio Calabria), venuto alla ribalta dopo anni di gavetta passati sui set cinematografici.
Il significato dell’opera sta tutto nel concetto che esprime lo stesso Matteo Garrone: «È un film che ci mette di fronte a qualcosa che ci riguarda tutti: le conseguenze delle scelte che facciamo quotidianamente per sopravvivere, dei sì che diciamo e che ci portano a non poter più dire di no, dello scarto tra chi siamo e chi pensiamo di essere».

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  • Vive a Reggio Calabria. Dopo anni passati fuori per lavoro, è ritornato nella sua città. Blogger, appassionato di fotografia, musica e cinema. Presidente dell'associazione culturale Fahrenheit 451. Vincitore del concorso fotografico “Calabria-back to the beauty” (Calabria Contatto). Ama la letteratura, con una predilezione per gli scrittori di fine Ottocento e Novecento. Si pone come obiettivo quello di condividere la valorizzazione del territorio e del mondo visto con gli occhi della gente del Sud.

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