“7 sconosciuti a El Royale” apre la tredicesima edizione della Festa del cinema di Roma

Drew Goddard, regista texano noto per la sua opera prima Quella casa nel bosco, ancora prima sceneggiatore del tanto acclamato Cloverfield, ora si cimenta con un thriller-crime dalle tinte tarantiniane.
Ma se l’atmosfera creata si ispira al maestro Quentin Tarantino (al quale lo accomuna un certo compiacimento stilistico), la struttura narrativa è forse più vicina al cinema dei fratelli Coen (la passione per il citazionismo). Ambientato alla fine degli anni Sessanta, si entra nel fatiscente Hotel El Royale, un tempo dimora lussuosa di importanti uomini politici, al confine tra il Nevada (simbolo di malaffare) e la California (simbolo dell’amore libero). All’interno di questa struttura, si intrecciano le storie di Bad Times: un prete, un rappresentante di elettrodomestici, una cantante, una hippie insieme alla sorella,  a cui si aggiungono un giovane portiere e l’enigmatico Billy Lee, con il quale il mistero verrà svelato.
Infatti ognuno dei protagonisti nasconde un segreto, un passato che viene gradualmente scoperto tramite brevi flashback. Perno di tutta la vicenda è la cantante soul, interpretata da Cynthia Erivo, unico elemento caratterizzato da vera umanità, e vero filo conduttore dell’intreccio, che si dipana tra equivoci, suspence, sangue e grandi canzoni soul (è l’epoca della Motown), brani che danno ritmo ad un’opera che avrebbe potuto stancare per la sua lunghezza.
Un film di doppi, dove nessuno è quel che sembra e nessuno è veramente innocente. Il regista americano si è davvero divertito ad usare la sua conoscenza cinefila, facendo alcuni omaggi al cinema di Lynch e altri vecchi titoli del passato, citazioni spesso funzionali allo sviluppo della storia. Ad esempio il viso sfigurato del portiere d’albergo è un chiaro richiamo a Gloria Grahame in Il grande caldo.
Evidenti sono le ossessioni: gli specchi, la sorveglianza, e il tema del grande fratello sono tutti temi già ripresi nelle sceneggiature precedenti scritte per altri registi, primo tra tutti Cloverfield.
Attraverso il suo caleidoscopio di storie, Goddard cerca di ricostruire l’immagine infranta del Sogno Americano e dell’Innocenza di un paese. Un’innocenza che, in fondo, non è mai stata tale.

Nel complesso viene fuori un frullato di gusti, dall’uso continuo di salti temporali, al cambio di punti di vista (molte sono le similitudini con Le Iene e The hateful eight); forse sarebbe stato più interessante inserire una sovrastruttura, come in Quella casa nel bosco. Perché l’ingranaggio nel finale sembra sgonfiarsi senza la sorpresa finale alla quale il regista ci aveva abituati in passato.
Una curiosità è legata alla location. L’albergo El Royale non esiste davvero, ma è frutto della fantasia del regista. Il fatto stesso di essere collocato al confine tra la California e il Nevada è una metafora: da un lato c’è la terra del calore e del sole, dall’altro la terra della speranza e dell’opportunità con i suoi casinò (che, nel bene e nel male, cambiano tutti coloro che vi entrano).
Da Oscar la colonna sonora (firmata da Michael Giacchino), anche questa omaggio alla soul music degli anni Sessanta.
Il giudizio complessivo è più che positivo, per uno degli autori più originali del recente panorama cinematografico.
Il film, proiettato in anteprima nazionale durante il festival, sarà nelle sale italiane dal 25 ottobre.

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  • Vive a Reggio Calabria. Dopo anni passati fuori per lavoro, è ritornato nella sua città. Blogger, appassionato di fotografia, musica e cinema. Presidente dell'associazione culturale Fahrenheit 451. Vincitore del concorso fotografico “Calabria-back to the beauty” (Calabria Contatto). Ama la letteratura, con una predilezione per gli scrittori di fine Ottocento e Novecento. Si pone come obiettivo quello di condividere la valorizzazione del territorio e del mondo visto con gli occhi della gente del Sud.

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