Con 15:17 – Attacco al treno continua la riflessione sul valori patriottici da parte del regista ultraottantenne Clint Eastwood. Dopo Sully continua la sua filmografia raccontando di nuovo una storia di eroismo, ma stavolta lo fa in maniera diversa, con un budget più ridotto. E soprattutto lo fa chiamando ad interpretare i protagonisti gli stessi uomini che hanno compiuto le gesta eroiche avvenute nel 2015.
Quindi realizza una sorta di film biografico sulla vita dei tre amici.
Nell’agosto 2015 sul treno Amsterdam-Parigi un terrorista sta per farsi esplodere col rischio di fare centinaia di vittime. Ma il destino fa sì che l’attentato venga sventato grazie a Stone ed i suoi amici, che si trovano sul quel treno di ritorno dalle vacanze.
Le scene legate al tentato atto terroristico si riducono agli ultimi 15 minuti del film, concentrandosi l’attenzione sul passato dei tre eroi. Così lo spettatore viene catapultato attraverso continui flashback dentro la storia degli amici, a partire dall’infanzia. Lo scopo ovviamente è di conoscere meglio Spencer, Stone ed Alek, al fine di farci capire che ogni tassello del passato servirà o tornerà utile per impedire l’attentato al treno. A differenza di Spencer e Alek, Anthony è l’amico diverso, la guida fantasma, che si ricongiungerà agli altri per far si che la loro vita abbia un senso compiuto.
Come evidenzia Pier Maria Bocchi su CineForum.it, «15:17 – Attacco al treno è un film mimetico come le divise di Spencer e Alek da bambini, perché si traveste alla ricerca di una storia e poi scarta, e perché sembra lineare e invece procede a singhiozzi; e che è un lamento per l’impraticabilità di una divisione netta e indiscutibile fra bianco e nero, bene e male, giusto e sbagliato, a tal punto che il ritratto dell’orrore non può che essere iconico e come tale prevedibile, volgarmente prevedibile (il terrorista pare arrivare dritto da un action della Cannon alla Delta Force), a tal punto inoltre che le preghiere non sono udite, non possono essere esaudite, loro, gli amici, cresciuti da cattolici e da cattolici educati a sperare, presumere, ingannarsi; un film nel quale l’ideale della guerra quale cameratismo e unione solidale fra individui va in briciole».
«Alcuni avrebbero allestito una rotta sicura e costruito un treno su un teatro di posa – dice la produttrice Rivera – ma non Clint Eastwood. Voleva le cose reali e quindi abbiamo fatto l’intero percorso a ritroso, partendo da Parigi e dirigendoci verso Amsterdam con tappa a Bruxelles».
È risaputo che Eastwood sia un amante della realtà: molte delle scene, infatti, sono state girate nei luoghi visitati dai tre protagonisti. Tranne la breve sequenza in Afghanistan, girata nel deserto della California, ed alcune sequenze romane, è quasi tutto originale. È originale soprattutto l’ambientazione del treno, coda del film che occupa l’ultimo quarto. Inoltre è stato messo a disposizione un vero treno Thalys e anche gli spazi per girare le sequenze in stazione ad Amsterdam.
In conclusione il film vuole essere una riflessione sul sogno americano e sul concetto di eroe, mito spesso visto e dipinto come simbolo di forza e moralità. Qui invece viene smitizzata e destrutturata la sua figura.
Il vero eroe non è giovane e bello, è normale e pure inadeguato. Perché eroe è chi capisce cosa deve essere fatto, e al momento giusto. Non un individuo fatto di talenti e valori puri, ma un ragazzo che non ha ancora trovato la propria identità.
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